COSMOLOGIA E CRISTOLOGIA22 Febbraio 1996 - Aula Magna della Facoltà
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Per comprendere il passo di San Bonaventura è necessario vedere la corrispondenza della struttura della miniatura che si trova in un codice del XI secolo a Canterbury e la struttura cosmografica dell'universo con il cerchio dell'equatore celeste (cielo) e il cerchio del percorso del sole (terra) e i due paralleli distanti 24° dai rispettivi poli. I due cerchi della miniatura sono i due paralleli e il trono, su cui è assiso Cristo benedicente o giudicante, occupa precisamente il polo dell'eclittica,che si trova a 66° di declinazione.
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Potrebbe essere semplicemente una coincidenza oppure rivelare una caratteristica della composizione letteraria antica il fatto che il capitolo 66 mo (ultimo) di Isaia, menzionando al primo versetto il trono in cielo e la terra suo sgabello, contenga 24 versetti? Se così fosse, saremmo in presenza di un classico esempio di metacomunicazione dei dati, tipica delle composizioni poetiche di Dante nella Vita Nuova. Senza l'indicazione del Trono, suggerita da Cristo giudice, sarebbe stato difficile pensare i due cerchi della miniatura come i due parallelli dei due sistemi che si intersecano, quello dell' equatore celeste e quello dell'eclittica.Infatti i due cerchi potevano benissimo essere impiegati per distinguere la luce dalle tenebre. Si osservi ancora come l' intersezione dei due cerchi piccoli forma la classica "mandorla" ruotatata di 90° dell'iconografia medioevale. Nel sistema geocentrico il cielo ruota attorno al suo centro P. Ad ogni rotazione corrisponde un giorno, più giorni il mese, più mesi l'anno.Così se dobbiamo scrivere un intervallo temporale dobbiamo renderci conto che non possiamo scrivere un arbitrario numero di giorni, di mesi o di anni, ma qualcosa che è connesso con lo scorrere del tempo. Il polo P, come si può vedere dalla figura, si trova sul parallelo di latitudine distante 24° da polo dell'eclittica e non è fisso: è soggetto ad un lentissimo movimento attorno al centro di tale parallelo. Per tale movimento si ha il fenomeno della precessione degli equinozi.Il polo celeste, secondo il sistema dell'angelo della luce (longitudine e latitudine) si trova a 66° di latitudine e il tempo è misurato dall'arco che esso compie attorno a pi. Il primo valore da scrivere sarà precisamente 66°. Il secondo, questa volta in primi, 24', essendo di 24° la distanza dal rispettivo polo. Il terzo valore sarà dato dalla somma numerica dei 24 paralleli e 24 meridiani, 48". Il tempo del Natale alla fine dei tempi sarà dato dall'arco che il polo celeste avrà compiuto il cui angolo al centro è di 66° 24' 48". Questo significa porre una strettissima relazione tra la struttura del cosmo come anticamente era intesa e il tempo della nascita del messia profetizzato da Isaia XI,1, sul quale si poserà "lo spirito di Jahve". Il Beresit Rabba riferisce proprio a questo versetto la seconda espressione del Genesi : 'e lo Spirito di Dio aleggiava: si riferisce allo spirito del Re Messia' (II,4). A questo punto non si può fare a meno di indagare se l'espressione biblica (e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque ) significhi precisamente quello che nel nostro sistema culturale è l' espressione del tempo in funzione dell'arco percorso da P senza che con questo si voglia identificare lo Spirito con il movimento del polo celeste. Questa relazione farebbe comprendere moltissime espressioni che non appartengono più alla nostra cultura.
Anche se abbiamo correttamente scritta la misura temporale che il passo di S.Bonaventura invita a cercare, per l'ormai riconosciuto errore di Dionigi il piccolo, non si può passare al nostro sistema cronologico se non si sappia per altra fonte la corrispondente data dell'inizio o di quella della fine oppure se non vi è qualche autore che ponga per un altro intervallo temporale tale corrispondenza. Questo autore è Dante e l'opera è la Vita Nuova, mediante la data della morte di Beatrice (1290,6,8) e mediante la suddivisione che Dante stesso pone per la canzone Donna pietosa di 84 versi; un altro autore è S. Bonaventura, quando racconta della sua visione del Serafino.
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