Esempi

Proclo

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Proclo nel commentare Repubblica, VIII,546 c 5, che riporta la distinzione tra la diagonale esprimibile e quella inesprimibile, ci riferisce di un teorema "elegante" che i Pitagorici avrebbero dimostrato "per mezzo di numeri" mentre lo stesso teorema sarebbe dimostrato "per mezzo di linee" nel II,10 degli Elementi di Euclide. Il teorema pitagorico verte "sulle diagonali e sui lati" ed è lo stesso che Teone di Smirne presenta nella sua prima sezione, L'Aritmetica, sotto il titolo di numeri diagonali e latera li, e Giamblico , In Nicomachi Aritmeticam Introductionem in relazione al rapporto (logos) laterale e diagonale. Se si confrontano gli enunciati dei due teoremi, il primo dimostrabile aritmeticamente e il secondo geometricamente, si trova che la diversità della loro enunciazione pone il problema di una derivazione tra i due. Gli studiosi (Zeuthen,Becker, Michel) considerano il teorema nella forma euclidea e ne mostrano la parentela con quello sui numeri diagonali e laterali. Però Proclo nel Commento al I libro degli Elementi afferma che II,10 valido sia geometricamente che aritmeticamente, rientrando in quei teoremi comuni tanto alla Aritmetica che alla Geometria. Se si vuole seguire l'indicazione di Proclo necessario derivare l'enunciato di II,10 dal teorema pitagorico, che per il riferimento di Platone sembra essere ben anteriore all'enunciato euclideo. Proclo fornisce la regola della generazione dei numeri diagonali e laterali in questo modo: La diagonale aggiunta al lato, di cui è diagonale, genera un lato, Il doppio del lato aggiunto alla diagonale di se stesso, genera una diagonale. L'enunciato di Elementi, II,10: Se si divide per metà una linea retta ed un'altra le è aggiunta, il quadrato di tutta la prima retta più quella aggiunta ed il quadrato della retta aggiunta, presi ambedue assieme, sono il doppio della somma del quadrato della metà della prima retta e del quadrato descritto, come su una sola linea retta, sulla retta composta dalla metà della prima e da quella aggiunta (trad. A.Frajese e L.Maccioni). Se si trascrivono algebricamente i due enunciati, indicando con d e l rispettivamente il numero diagonale e il numero laterale e con 2x e y i due segmenti di retta di Elementi II,10 si ottiene la seguente formula per il teorema pitagorico:

d(n) = d(n-1) + 2l(n-1)
l(n) = l(n-1) + d(n-1)

mentre per il teorema nella forma euclidea si trova la seguente espressione algebrica:
(2x + y)*(2x + y) + y*y = 2[x*x + (x+y)*(x+y)]
Benché tutto ciò possa sembrare antistorico per la mancanza di un'algebra scritta dei Greci, tuttavia essi possedevano un'algebra parlata (F. Thureau-Dangin) quale si trova nella Metrica di Erone e nell'opera di Diofanto, che seguono una tradizione ben anteriore alla nascita della assiomatizzazione della Geometria; tradizione da considerarsi accanto alla "scienza greca". Infatti dal punto di vista teorico non c'è alcuna differenza tra il dire non c'è nei numeri infatti un numero quadrato doppio di un numero quadrato che si trova enunciato come principio sia da Proclo che da Erone o scrivere (1) y*y diverso da 2*x*x quando invece y*y = 2*x*x come relazione di equivalenza delle aree si trova tra la diagonale e il lato del quadrato applicando il teorema di Pitagora. La (1) può essere espressa con più aderanza storica al linguagio come relazione di diseguaglianza che comprende l'essere maggiore o minore
y*y <> 2 * x*x
Poiché tale relazione è indetermina in quanto non è data la differenza in più o in meno, in eccesso o in difetto, si possono ricercare l'insieme delle y(i) e delle x(i) tali che la differenza
y(i)*y(i) - 2*x(i)*x(i) = ± 1
sia l'unità
d(n) 1,3,7,17,41,99,239,577,...,...,
l(n) 1,2,5,12,29,70,169,408,...,...,
Osservando il diagramma dei numeri diagonali e laterali si può vedere come "la somma dei quadrati di due numeri diagonali successivi è equivalente al doppio della somma dei quadrati dei corrispondenti numeri laterali" Con un'elementare conoscenza dell'algebra si può derivare l'enunciato di Elementi II,10 dalla regola di Proclo e di Teone di Smirne.

La generalizzazione della regola di Teone di Smirne.


(1.1 = 1*1)

3 = 1.1 + 1.2
2 = 1.1 + 1.1

7 = 3.1 + 2.2
5 = 3.1 + 2.1

17 = 7.1 + 5.2
12 = 7.1 + 5.1

e così per sempre
kai outw aei
Se si osserva la successione delle operazioni per i tre esempi si trova che in tutti e tre ricorrono identici quattro coefficienti, cioè
1 2
1 1
Questi coefficienti debbono indicare in qualche modo una relazione con la procedura di approssimazione della radice di 2. Se si trova questa relazione è possibile fornire un regola generale per l'approssimazione di radice di A con A qualsiasi. Innanzi tutto è ovvio pensare che il numero 2 che compare sia il numero di cui si vuole avere un'approssimazione della sua radice quadrata. Se ci si ferma a questa osservazione si può tutt'al più individuare una successione di rapporti che approssimano in eccesso e in difetto la radice di 3:

2 = 1.1 + 1.3 ; 5 = 2.1 + 1.3
1 = 1.1 + 1.1 ; 3 = 2.1 + 1.1

7 = 5.1 + 1.1; 19 = 7.1 + 4.3
4 = 5.1 + 3.1; 11 = 7.1 + 4.1

26 = 19.1 + 11.3; 71 = 26.1 + 15.3
15 = 19.1 +11.1; 41 = 26.1 + 15.1

97 = 71.1 + 41.3; 265 = 97.1 + 56.3
56 = 71.1 + 41.1; 153 = 97.1 + 56.1

362 = 265.1 + 153.3; 989 = 362.1 + 209.3
209 = 265.1 + 153.1; 571 = 362.1 + 209.1

1351 = 989.1 + 571.3
780 = 989.1 + 571.1

Le coppie in grassetto (265,153) (1351,780) sono esattamente i valori cui ricorre Archimede per approssimare la radice di 3. La generalizzazione fin qui operata risulta incompleta appena si applica lo stesso algoritmo per radice di 5. Infatti si tratta di leggere gli altri tre coefficienti che per radice di 2 e per radice di 3 risultano identici all'unità . I coefficienti lungo la diagonale principale, per esprimerci secondo la nostra terminologia, indicano il lato di quel numero quadrato prossimo al numero di cui si cercano i rapporti che convergono alla sua radice, che per 2 e 3 è l'unità , mentre il coefficiente restante indica il lato del quadrato unitario. Sicché posto
A = x*x ± d ( con d più piccolo possibile)
il quadro dei coefficineti è il seguente:
x A
1 x

e la prima coppia di numeri è (x,1).
Da questa generalizzazione si giunge immediatamente alla regola di Erone:
Dato A = x*x ± d con d più piccolo possibile la prima approssimazione della radice quadrata di A è data da
r(1) = 1/2[ x + A/x]
la seconda approssimazione da
r(2) = 1/2[r(1) + A/r(1)]
e così per sempre.
Le differenze generate dal procedimento di Erone di Alessandria concernono pertanto la seguente successione:
| (A - r(i)*r(i)| (con i = 1,2,.... n)
Al crescere dell'indice i la differenza diventa sempre più piccola, più piccola di qualsiasi differenza trovata, come espressamente recita il testo di Erone: "Poiché dunque i 720 non hanno il lato razionale (dicibile), assumiano con differenza piccolissima (= sempre più piccola) (elacistou = superlativo) il lato in questo modo".
La successione dei rapporti del numero diagonale con il corrispondente numero laterale tende al lato non dicibile di un numero non quadrato. Il problema che si è subito posto alla riflessione fù quello di domandarsi se questo limite esista e sia un numero. Per Platone esiste ed è un numero,diverso però dal numero matematico, è un numero ideale, se si leggono correttamente le testimonianze aristoteliche. Per Aristotele una simile risposta appare non corretta, data la sua posizione sull'infinito potenziale e sul mondo ideale che non è separato dal mondo reale. Una testimonianza su questa gloria dell'Accademia platonica si trova in Giorgio Pachimere (Nicea 1242-Costantinopoli 1310 ca), nella sua opera sul Quadrivium (ediz. Tannery), nella quale si accenna a numeri ideali scoperti nella Accademia platonica, benché egli si guardi bene di darne una trattazione, a conforto o sconforto degli storici che sanno e conoscono solo ciò che è esplicitamente scritto nelle loro fonti.


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