Giovanni Ferrero

Il canto XXVIII dell'INFERNO
vv.22-62

E la penna domandò: "Che devo scrivere?".
E Dio rispose:
"Scrivi la mia sapienza e tutte le mie creature, dal principio alla fine del mondo".
E subito la penna prese a scrivere.
(Et confestim cepit penna scribere)
(Il Libro della Scala di Maometto, tr. it.R.R.Testa, Cap.XX,52, pp.45-46, Mondatori,1999)

Lì si vedrà, tra l'opere d'Alberto,
quella che tosto moverà la penna,
Paradiso,XIX,115-116

    I problemi che i vv. 22-62 del canto XXVIII dell'Inferno pongono al lettore colto sono di diverso ordine e per un semplice lettore di religione islamica essi sono indubbiamente intollerabili e suonano per la venerazione del fondatore della sua religione, venerazione socialmente e culturalmente condivisa,come un esplicito oltraggio alla sua figura . Solo la contestualizzazione storica e sette secoli di distanza permettono di superare tale difficoltà, come ben dimostra la ricerca di Elalami Abdelkrim, La figura di Maometto nella Commedia. L'interessante e ben argomentata tesi dello studioso potrà indurre un orientalista a ricercare nelle biblioteche europee manoscritti latini che permetteranno di determinare meglio la conoscenza medioevale della storia dell'Islam con la sua tradizione intorno ai detti (Hadith) del Profeta e le fonti dirette e indirette di Dante, proseguendo le ricerche di Enrico Cerulli.
    Con questa nota intendiamo mostrare, mediante l'analisi del lessico e la organizzazione dei versi, la natura particolarmente studiata dei vv. 22-62.
  Nelle due terzine (22-27) troviamo una sconcia dissezione anatomica di un dannato, che in seguito (v.29), aprendosi con le mani il petto, si autopresenta al poeta. Giustamente Elalami Abdelkrim vede nel verso «guardommi e con le man s'aperse il petto » l'eco di una tradizione raccolta da Al-Buhari:


     Questo hadith, secondo E. Abdelkrim, è tratto dal "sahih di Bukhari e Muslim", ed è tradotto da R. Rossi e Y. Tawfik. Secondo un'altra traduzione o secondo un altro testo simile, tratto dal capitolo LXIII, I fasti degli Ansar, dei « DETTI E FATTI DEL PROFETA DELL'ISLAM», raccolti da al-Buhari, a cura di Virginia Vacca, Sergio Noja e Michele Vallaro, UTET, 1982, pag.463, si legge:

    Ora sia in un testo che nell'altro si tratta di una "purificazione del cuore" analoga alla purificazione delle labbra che si legge nella Bibbia per il profeta Isaia. L'apertura del petto è il tratto distintivo dell'esperienza e della missione profetica nel primo testo analoga allo squarcio dallo sterno all'ascella del secondo prima dell'ascensione con Gabriele e Buraq in cielo. L'immagine esprime tuttavia un intevento violento che strappa il cuore. E dal significato di cuore nella tradizione giudaico-cristiana e in quella islamica non è possibile fermarsi all'immagine fisica del «cuore» con la sua funzione, ma all'autenticità dell'esperienza profetica che strappa Maometto dai legami con la sua comunità per isolarlo in un rapporto singolare con Dio. Infatti «cuore» significa il centro esistenziale di tutto l'uomo comprendente in un'unità conoscenza e affettività (cfr. Sura LIII,11; Bausani traduce con "mente" il termine "cuore" del testo). Generalmente i medioevali, compreso Dante, non riconobbero l'autenticità dell'esperienza profetica e in genere non erano propensi a vedere nell'Islam autentici valori religiosi eccetto il domenicano Guglielmo da Tripoli. Secondo Emilio Panella O.P. Guglielmo in Acri scrive il De statu sarracenorum(ed. P. Engels, Wilhelm von Tripolis, Würzburg-Altenberge 1992, 266-371; già ed. H. Prutz, Berlin 1893) dedicato a Tebaldo Visconti legato in Terra santa e residente in Acri quando eletto papa (Gregorio X) il 1º settembre 1271. Il domenicano "ritiene che i musulmani siano «vicini alla fede cristiana e prossimi alla via della salvezza» (c. 48 fine); intravede nel musulmano devoto e sincero un'implicita disponibilità alla grazia del vangelo (c. 49: Quid attrahit sarracenos ad fidem Christi)" (Emilio Panella).
     Dante, prendendo alla lettera l'immagine, avendola anticipata al verso 29 prima del nome, pare operare un rovesciamento dialettico ai tratti dei cosiddetti racconti popolari. Se si trovasse la traduzione latina del secondo testo,traduzione accessibile a Dante, si potrebbe avere un filo conduttore per una migliore comprensione di questi versi. Ciò che nella versione araba del racconto è il segno distintivo della missione profetica, con il viaggio nei sette cieli fino al trono di Dio, diviene nella Commedia il segno indicatore della pena con la condanna all'inferno.
    L'analisi del lessico mostra poi una cura particolare, soprattutto in quella fredda e distaccata dissezione anatomica di un corpo, paragonato ad una botte sfasciata. Sono termini che ricorrono una volta sola nella Commedia « veggia », botte, « mezzul », elemento centrale della botte, « lulla », elemento laterale del fondo della botte, « minugia », budella, « corata », visceri, « merda », e i verbi « pertugia, trulla, trangugia». Sono ancora termini unici il verbo « dilacco » squarcio, divarico, « ciuffetto », i termini derivati dal greco « scandalo e scisma », occasione di colpa e divisione, il verbo « m'accisma » mi concia in senso ironico e « risma », turba con significato spregiativo. Non ci risulta che vi sia un'altra sezione della Commedia che presenti un accumulo di termini impiegati una volta sola, accumulo che esprime non solo la particolare attenzione retorica del poeta al tema che vuole trattare, ma diviene anche un segnale per il lettore.
    Se poi si pone in parallelo Inferno XXVIII,22-39, occorrendo risma al verso 39, con Purgatorio XXVIII,22-39 e Paradiso XXVIII, 22-39 si può osservare come i temi degli altri due canti in quei versi trattano, della selva antica del paradiso terrestre e l'apparizione di Matelda al verso 40 per il Purgatorio, e per il Paradiso, nominandoli espressamente, i cieli dal terzo al nono. Il confronto mostra pertanto un invisibile legame dei versi di Inferno,XXVIII,22-39 con il tema del viaggio in cielo.
    Tuttavia solo l'analisi della struttura numerica dei versi e del canto, secondo quel programma di composizione poetica posto nel Paradiso sotto il segno della « Diva Pegasea » rivela il significato e l'importanza di quei versi agli occhi del poeta, mostrando come la Commedia sia intenzionalmente una risposta ai racconti arabi del viaggio in cielo. Ciò che risulta significativo è il numero del canto, i numeri dei versi del canto, i due brani delle parole di Maometto e l'occorrenza del suo nome al verso 31 e 62.

  Per mostrare la nostra tesi assumiamo come conosciuto da Dante:

Secondo il già citato Emilio Panella O.P. responsabile dell'Archivio di Santa Maria Novella in Firenze,le fonti per lo studio della conoscenza del Corano nel Medioevo sono le seguenti:

    Dalla conoscenza del ciclo pasquale di 19 anni, ciclo che si trova già in Grecia, si può derivare la conoscenza che esso sia di un anno lunare superiore al ciclo conosciuto in epoca moderna in Occidente come il saros babilonese:

235 mesi = 223 mesi + 12 mesi
Sei cicli comprendono ben 114 anni, un numero che coincide con quello delle Sure del Corano.
Cinque cicli comprendono
1175 mesi = 1115 mesi + 60 mesi
60 volte questa espressione nel sistema sessagesimale diviene
19,35,0 mesi = 18,35,0 mesi + 1,0,0 mesi

     Trovata questa relazione, si deve calcolare il numero dei mesi intercorsi dall'inizio dell'èra dei Pesci fino all'otto giugno del 632 d.C.. Essi sono 9130.5 che aggiunti ai 57883.5 danno il numero dei mesi 67014 (= 18,36,54 secondo il sistema sessagesimale) dal tempo d'origine alla data tradizionale della morte del Profeta. Si trasformi ora questo intervallo, espresso in mesi, nell'intervallo il cui nome arcaico è « lampo », come indica anche il nome « buraq » della cavalcatura in groppa alla quale si racconta che il Profeta dell'Islam giunge al primo cielo accompagnato da Gabriele. Per questa trasformazione è necessario sapere che la differenza tra l'anno sidereo e l'anno giuliano, differenza chiamata lampo, in 31000 anni solari ammonta a 195.7 giorni.

18,36,54 mesi = 34;12,17 giorni di lampo

Dato che
34-6 = 12 + 16 = 28 e 17 è la metà di 34

         
  • 28 sia il numero del canto dell'Inferno
         
  • I due brani assegnati all'autopresentazione e al consiglio strategico per Fra Dolcino siano di 16 e 6 versi
         
  • l'occorrenza del nome sia due volte con il numero del verso uno la metà dell'altro
         
  • Essendo 9130.5 mesi = 2,32,10;30 mesi l'intervallo trascorso da quando inizia l'èra dei Pesci al plenilunio della morte del Profeta:
         
  • Il primo brano cominci al verso 30 e la seconda occorrenza del nome al verso 62 e il secondo brano al verso 55
         
  • Il numero dei versi del canto XXVIII sia la somma del numero delle Sure con il numero del canto, cioè 142

    A questo punto si può ancora osservare, essendo 114 = 1,54, che

18,36,54 = 18,35,0 + 0,1,54

mostrando come vi sia una stretta relazione tra il numero delle Sure e il tempo del plenilunio della morte del Profeta calcolato dall'origine dei tempi o dalla creazione del cielo e della terra, mediante la conoscenza del ciclo lunisolare di 19 anni superiore di 12 mesi al ciclo di 223 mesi. Inoltre si vede come il passo di Paradiso XVIII,88-93 non solo sia in rapporto con l'alternanza delle tarsie verdi e bianche dei due pilastri angolari del lato sud del Battistero San Giovanni a Firenze, ma abbia anche una relazione con la struttura dei versi del canto XXVIII dell'Inferno e sia legato a quel saluto di Beatrice narrato nella Vita Nova, in quanto 9,9 mesi (=549) prima della morte del Profeta la stella Sirio misurava il tempo del diciottesimo anno del poeta.
    Interessante, benchè di difficile valutazione, è la data corrispondente all'intervallo di 18,35,0 mesi = 66900 mesi. Essa corrisponde al plenilunio del 22 marzo del 623 secondo il calendario giuliano e al 15 Ramadan del primo anno dell'èra araba. Dieci mesi dopo avverrà l'episodio di Nakhla, dove una carovana fu aggredita da un gruppetto di musulmani medinesi durante il mese sacro di ragiab ( Francesco Gabrielli, Maometto e Le Grandi conquiste arabe, Newton & Compton Editori,2001, pag. 49. Prima edizione Saggiatore 1967).
     Se la corrispondenza calendariale era facilmente accessibile a Dante, non c'è alcun indizio testuale che possa suffragare un'allusione a questo espisodio di rottura della tregua sacra, che suscitò « reazioni di indignazione alla Mecca, di disagio a Medina stessa.» (F.Grabrielli). Lo scandalo fu enorme tanto da trovare un'eco ben precisa nella Sura 2,217 con la consacrazione della guerra contro i miscredenti.
    Interessante è la nota di Alessandro Bausani a Sura,2,217 che riporta anche la data (mese e anno) dell'episodio:

    Il versetto, a detta di tutti gli esegeti, giustifica l'attacco di 'Abd Allah ibn Gahl ( il mese di ragiab 2 A.H. genn. 624) contro una carovana di Meccani pagani durante il mese sacro. (IL CORANO, Introduzione, Traduzione e Commento di Alessandro Bausani, Rizzoli, Milano 1994 IV ediz., pag. 513)

    C'è da domandarsi se Dante non abbia avuto sentore del carattere politico-militare del periodo medinese e sia stato questo aspetto a distinguere la figura del Profeta da tutti gli altri eresiarchi, sia stato cioè più il monoteismo sorretto dalla punta della spada, che l'interpretazione ecclesiastica corrente che faceva di Maometto, ad esempio, un cristiano nestoriano. Così, risultando 114 la differenza del numero dei versi e del numero del Canto, v'è un' allusione sia al numero delle Sure che al mese sacro di Ramadan del primo anno dell'èra. Che questo mese sia individuato, partendo dall'origine, da cento cicli di 669 mesi, ciclo ben conosciuto in Grecia (Gemino), o da 300 di 223 mesi del saros babilonese oppure partendo dal plenilunio dell' otto giugno 632 da 114 mesi prima, quante sono le Sure, è una duplice coincidenza che permette la memorizzazione di informazioni necessarie per collocare nel tempo i riferimenti ad episodi storici che si trovano nelle Sure del Corano.
    Infatti per il riferimento all'episodio di Nakhla, dato il numero versetto 217, 217-114 = 103. Partendo dalla data 632,6,8,( = 18,36,54 m dal To) 103 mesi prima si giunge al 10 febbraio 624 = 15 sha'ban 2, al mese successivo all'episodio dell'attacco alla carovana, si giunge cioè a 18,35,11 mesi dal To. Si potrebbe pensare ad una pura coincidenza. Se non lo fosse potrebbe esserci questa regola. Se il numero del versetto è maggiore di 114 si deve trovare la differenza numero versetto e 114 e andare indietro nel tempo di un numero di mesi pari a tale differenza e con numero versetto inferiore si calcola quanti versetti rimangono nella Sura e si va indietro nel tempo di un numero di mesi pari alla differenza trovata.
Nella Sura XXXIII, La Sura delle fazioni alleate di 73 versetti, al versetto 9 si fa riferimento alla coalizione meccana che mosse alla fine del mese di marzo del 627 contro Medina, che si difese con un fossato attorno alla città. Ora 73-9 = 64. Sessantaquattro mesi prima della morte di Maometto si giunge al 6 aprile del 627.
Nella Sura IV, La Sura delle Donne di 176 versetti si legge nella traduzione di A. Bausani:

        
  • 94    O voi che credete! Quando v'ingaggiate nella via di Dio, state attenti, e non dite a chi vi porge il saluto di «Pace!», «Tu non sei credente!» per desiderio dei beni effimeri del mondo

        

  • 90    ...Se dunque essi si tengono in disparte da voi e non vi combattono e vi offrono la pace, Dio non vi dà facoltà di combatterli.

La censura di comportamenti avvenuti durante uno scontro è ben netta. Se applichiamo la regola sopracitata avremo 176-90 = 86. 86 mesi prima della morte del Profeta è il plenilunio del 26 giugno 625, 15 Muharram 4. Nel marzo 625 vi fu un contrattacco dalla Mecca con una spedizione punitiva contro Medina. Vi erano truppe meccane rinforzate da contingenti di alleati beduini. Lo scontro avvenne presso il colle Uhud.
Nella Sura III, La Sura della famiglia di 'HIMRAN,medinese di 200 versetti, al versetto 13 v'è un'allusione ad una vittoria e al versetto 123 v'è un'esplicita menzione. Nella traduzione di A. Bausani:

        
  • 123   Dio vi diede la vittoria a Badr, mentre eravate deboli, temete dunque Dio sì che possiate esserGli grati

     La vittoria fu conseguita a Badr, una località a 100 km circa da Medina, dopo una battaglia svoltasi a metà marzo 624 fra i musulmani e la retroguardia della grande carovana dei Qurays che tornava carica di merci dalla Siria. (Bausani, op.cit., Introduzione, XXXII).
Applicando la regola 200-123 = 77, settantasette mesi prima del 8 giugno 632 d.C., si trova il 18 marzo 626, che non s'accorda con la cronologia dell'evento, tredici mesi dopo il plenilunio del mese di Ramadan del primo anno, cioè 114-13 = 101 mesi prima del plenilunio della morte del Profeta dell'Islam si trova il 9 aprile 624. Il novilunio precedente cade al 24 marzo.
Quando però il riferimento non è ad un evento registrabile dalla storia come una battaglia, come ad esempio il riferimento al viaggio notturno o alla rivelazione dell'angelo, la regola precedente di per sè non è sufficiente. Se poniamo infatti, a titolo euristico, in relazione la Sura LIII di 62 versetti, La Sura della Stella

        
  • 53,10   e rivelò al servo Suo quel che rivelò
con la Sura XVII di 111 versetti, La Sura del viaggio notturno
        
  • 17,1    Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo

dal momento che Sura XVII,1 insieme a Sura LIII,1-18, è «alla base delle colorite e curiose leggende, delle speculazioni teologiche, delle profonde allegorie mistiche, che riguardano la famosa ascensione (mi'rag) e il viaggio notturno (isra') di Muhammad » (Bausani,Note pag.581) possiamo cercare di riflettere quali siano le informazioni relative a questi due versetti
    Applicando la regola, essendo i versetti della Sura LIII 62 e il versetto preso in esame il 10, avremo:

To + 67014 - 52 = To + 66962 = 13 Zul Qu'ida 6, 25 marzo 628    Festa liturgica dell'Annunciazione a Maria.

     Un pittore cristiano in quel giorno avrebbe potuto dipingere un'annunciazione, come numerosissime sono le annunciazioni a Firenze e in Toscana, mentre un miniaturista persiano, secoli dopo, avrebbe forse disegnato l'interno di una stanza con l'angelo e il Profeta immerso in meditazione. Il miniaturista si sarebbe domandato quale fosse stato il contenuto della rivelazione dell'angelo. La risposta sarebbe stata ciò che l'angelo annunciò a Maria, cioè la nascita di Gesù Messia. Maria sapeva che sarebbe nato 9 mesi dopo. Poichè abbiamo individuato un tempo, il plenilunio di marzo del 628 d.C. il lettore di quel versetto doveva domandarsi se gli era possibile scrivere il tempo trascorso dal Natale di Gesù. Conoscendo la cronologia avrebbe saputo che quel intervallo sarebbe stato superiore a 7200 mesi, cioè superiore a

2,0,0 mesi
avrebbe saputo scrivere il primo termine della sequenza, di cui il secondo sarebbe sato il numero del versetto, cioè 10 e il terzo termine poteva essere in mancanza di altre indicazioni o 12 (2+10) 0 20 (2*10). Controllando con il calcolo avrebbe visto che

To + [18,36,2 - (2,10,20)]m = To + 16,25,42 m = Natale di Gesù = 25 dicembre - 5

     Ora questa espressione non può essere smentita, come del resto recita il versetto 11, immediatamente successivo:

    

  • LIII,11:   E non smentì la mente quel che vide;

         La lettura, appena esposta, di Sura LIII,10 non implica che essa sia stata recitata la prima volta nel periodo medimese, essendo meccana, ma solo che il contenuto della rivelazione dell'angelo, che divenne nella tradizione orientale l'angelo della conoscenza, comporta il venir a sapere il tempo del Natale, non mediante una data, ma mediante due intervalli: il primo, il numero di mesi dal To per il Natale e, il secondo, quello che lega il tempo presente di colui cui è stata data la rivelazione e il tempo del Natale. Se si riflette si vede che non vi può essere nelle Sure meccane un riferimento né al primo plenilunio del mese di Ramadan del primo anno né tanto meno al tempo della morte del Profeta. Il riferimento temporale deve essere ad un evento della storia dei profeti, perchè solo così si connette il tempo pre-islamico a quella storia.
        Trasformando quel tempo per il Natale nel corrispondente arco di precessione si viene a conoscere nello stesso tempo il valore di declinazione del Trono di Dio in cielo. Si riconduce un tempo alla struttura stessa del cosmo.

        Quell'ipotetico lettore avrebbe visto che 16,25,42 poteva essere scritto 17, -34,-17-1 e trovare alla Sura XVII al v.1 il riferimento al viaggio avvenuto anni prima, a quella prima rivelazione che fu alla base dell'azione profetica di Muhammad alla Mecca, dieci anni prima circa dell'inizio dell'èra araba. Quel lettore doveva trovare due espressioni:

    Annunciazione + 2,x,2x mesi = plenilunio prossimo al mese del viaggio
    Tempo prossimo viaggio + 110 + y = To + 18,36,54

         Per poter determinare la prima espressione è necessario risolvere la seconda espressione sapendo che l'attività profetica durò all'incirca vent'anni lunari cioè poco più di 240 mesi. La quantità incognita y è maggiore di 2,0 mesi. Il numero della Sura XVII esprime anche di quanti mesi sia superiore. Allora si avrà

    Tempo prossimo viaggio = To + 18,36,54 - 1,50 - 2,17 = To + 18,32,47 m
    Mezzo mese dopo inizia il mese della rivelazione.

         Conoscendo il tempo del Natale e il tempo del viaggio non è difficile vedere che

    Tempo prossimo viaggio - Tempo Annunciazione = 18,32,47 - [16,25,33] = 2,7,14 mesi

    la cui espressione è analoga a quella precedentemente trovata per LIII,10 cioè 2,10,20; il terzo termine è il doppio del secondo termine.
        Qualsiasi siano le immagini dei racconti del viaggio, alla loro base v'è una solida conoscenza della cronologia simbolica della storia della rivelazione e una solida conoscenza del cielo espressa appunto con metafore e immagini tratte dalla vita quotidiana, come l'angelico e sterminato « Gallo » del Libro della Scala; « il gallo che si appoggia alla terra settima, ma tiene il capo e la cresta nel cielo dove è Dio ed il Suo Trono» (ENRICO CERULLI,Il "Libro della Scala" e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, Città del Vaticano, 1949, ediz. anastatica 1974, pag. 528.)
    Se di fronte a queste immagini e ai riferimenti ad angeli si ricorre per comprenderli all'immaginario sociale, come una nota storiografia francese ama trattare questi temi, sicuramente non si è in grado di cogliere il significato dell'immagine, anche quando essa compare in una miniatura astrologica e astronomica (Cod.Bodl. Gr.133).

    Ritornando a Dante, dopo l'excursus sulle Sure, che presentiamo come inizio per un'ipotesi metodologica di lettura, dalla struttura Inferno XXVII, 30-45

          30   « or vedi come mi dilacco
          35   seminator di scandalo e di scisma
          45   ch'è giudicata in su le tue accuse? »


         troviamo singolare che scandalo e scisma occorrano al v. 35 e che undici siano i versi da questo fino a quello finale del primo intervento del Profeta, sicché possiamo scrivere 18,35,11 o 18,35,10, essendo il primo termine senza dubbio 18, perchè una unità del suo ordine 1,0,0 corrisponde a 3600 mesi, cioè a 291 anni.
    L'occorrenza di scandalo e scisma al verso 35 permette pertanto di scrivere il medesimo intervallo temporale di Sura 2,217, relativo all'episodio avvenuto a Nakhla nel gennaio del 624 corrispondente al mese sacro di ragiab. È questo un indizio non testuale per affermare che Dante con molta probalità conosceva quell'episodio e il versetto del Corano, probabilmente mediante l'incontro con qualche ebreo e dalla lettura di una traduzione latina

        La struttura dei versi dei personaggi che interloquiscono si presenta come segue:

    Maometto: 16 versi
    Virgilio:       6 versi
    Maometto:  6 versi

        La situazione è paradossale. Maometto si rivolge a Dante, Virgilio gli risponde al posto di Dante, e nuovamente Maometto si rivolge al poeta, che in questi versi è semplicemente narratore.
        In questa situazione il ruolo di Virgilio deve essere pensato sulla base dell'interpretazione medioevale cristiana del poeta latino. Infatti in un suo testo i medioevali leggevano l'annuncio della nascita di un « puer », di un fanciullo, che veniva identificato, erroneamente, nel futuro « salvatore ». In contrapposizione i medioevali si trovavano dinnanzi ad una religione secondo la quale Gesù è un semplice profeta, la cui morte salvifica veniva negata, come le interpretazioni docetiste avevano già secoli prima sostenuto.
         Secondo Gabriele Mandel, con una laurea Honoris Causa in Scienze Islamiche, ricevuta dall'Università Statale di Konya (Turchia), la posizione di Gesù nel Corano è analoga a quella di molte correnti ereticali cristiane:


      «     In definitiva, la posizione di Gesù nel Corano è di molte correnti cristiane, come quella di Basilide e della dottrina docetista di sette manichee, gnostiche e monofisite ancor oggi vive in Siria, in Turchia, in Iraq e nell'Iran. » (da GABRIELE MANDEL, Corano senza segreti, Rusconi, Milano 1994, pag.162).
         Ciò che G. Mandel riconosce è ciò che Pietro il Venerabile (m.1156), nono abate di Cluny, ha precisamente affermato nel primo testo medioevale di controversia teologica con le dottrine islamiche,passando in rassegna nel prologo (PL,coll. 665-666) del Contra sectam Saracenorum le eresie dei Manichei, Ariani, Macedoniani, Sabelliani, Donatisti, Pelagiani, Nestoriani e Eutichiani. Nel paragrafo tredicesimo viene posta la questione se gli « errori dell'Islam » debbano essere detti « eresia ». Alla questione risponde di non discernere sufficientemente (non satis discerno) se dichiarare eresia «l'errore maomettano» e eretici i suoi seguaci oppure se debbano essere chiamati gentili o etnici.

           Sed utrum Mahumeticus error haeresis dici debeat, et ejus sectatores haeretici, vel ethnici vocari, non satis discerno. PL,669-670.

         La leggenda medioevale del monaco nestoriano di nome Sergio, espulso dalla chiesa, non si trova menzionata in questo testo ma nella SUMMULA QUAEDAM BREVIS (PL.coll.653). In essa si legge:

      « Itaque Sergius conjunctus Machumet quod ei deerat supplevit, ..., Christianum Nestorianum effecit - Pertanto Sergio unitosi a Maometto che gli suppliva ciò che gli mancava.... ne fece un cristiano nestoriano »,

    avendogli esposto secondo l'interpretazione di Nestorio le Scritture sacre sia del Vecchio Testamento che del Nuovo assieme a favole tratte da testi apocrifi.
         La posizione di Virgilio agli occhi di Dante era ben diversa, sicché fu messo nel nobile castello del canto IV assieme ai filosofi e poeti dell'antichità e al filosofo Averroè. L'interpretazione dell'aristotelismo fatta dal filosofo arabo era inaccettabile e inconciliabile con la dottrina cristiana. Tuttavia questo aspetto non fu un motivo sufficiente per porre il filosofo tra i dannati dell'inferno. C'è da dubitare pertanto che lo scandalo e lo scisma da imputare secondo il poeta sia quello di un errore dottrinale di un nestoriano, ma qualcosa di più profondo. Il riferimento a fra Dolcino forse lo può ulteriormente rivelare:

        55  « Or dí a fra Dolcin dunque che s'armi,
        57  s'ello non vuol qui tosto seguitarmi,
        58  sí di vivanda, che stretta di neve
        59  non rechi la vittoria al Noarese,
        60  ch'altrimenti acquistar non saria leve ».

         In seguito alla crociata bandita da Clemente V, Dolcino Tornielli con cinquemila seguaci di Gerardo Segarelli si rifugiò sui monti biellesi. Il vescovo di Novara era il comandante dei crociati, e lo costrinse alla resa nel marzo del 1307, grazie alle abbondanti nevicate e alla sopravvenuta mancanza di viveri. I versi citati esprimono un consiglio strategico di un comandante militare e non le parole di un eretico. Gli eretici infatti si trovano nel canto IX,106-133 e la loro pena consiste nell'essere rinchiusi in tombe infuocate ciascuna per ogni setta con il loro fondatore. Se poi si confrontano i personaggi del medesimo canto nessuno appartiene alla sfera religiosa: Pier da Medicina fomentò le discordie tra i signorotti emiliani e romagnoli,il tribuno della plebe Caio Curione indusse Cesare a passare il Rubicone, Mosca dei Lamberti cui si imputa la responsabilità e l'origine prima delle lotte intestine a Firenze e infine il poeta provenzale Bertran de Born pose la discordia tra Enrico III contro il padre Enrico II d'Inghilterra, duca d'Aquitania. Tutti i personaggi citati hanno una colpa specifica di un fatto, mentre è difficile comprendere quale sia, agli occhi di Dante, la divisione, lo scisma cioè, imputabile quando era profeta alla Mecca o quando divenne anche condottiero a Medina. Ora se lo scandalo e la divisione consistono precisamente nell'aver legato fede e spada, e la prima volta avvenne con la giustificazione dell'attacco a Nakhla, il riferimento a Fra Dolcino forse potrebbe assumere anche il significato di condanna del vescovo « novarese » sia per il rogo di coloro (2,VI,1307, otto persone compresa sua moglie ) che non vollero riconoscere, sottomettendosi all'autorità del vescovo, sia per la sua strategia, favorita dalle abbondanti nevicate. Sarebbe pertanto implicita la seguente proporzione:

    Maometto sta ai meccani pagani uccisi dai medimesi come il vescovo novarese sta ai dolciniani.


        Stando alla Chronologia Khalifarum a secessione Prophetae.. di al-Battani (OPUS ASTRONOMICUM,A Carolo Alphonso Nallino, Pars Secunda, Mediolanum Insubrum 1907 - Ristampa anastatica Georg Olms Hildesheim - New York 1977, pag.4) si trovano indicati gli anni i mesi e i giorni di ciascun califfo e la somma progressiva a partire dall'inizio dell'èra araba.

            Per la morte del Profeta         anni 10 mesi 2 giorni 0
            'Ali ibn Abi Talib et seditio       anni 39 mesi 8 giorni 17

        La differenza tra i due eventi     anni 29    mesi 6   giorni 17   , tralasciando i giorni, assomma a 354 mesi, che trascritti nel sistema sessagesimale si possono scrivere 6,-6, con le medesime cifre del numero dei versi della risposta di Virgilio e del secondo intervento di Maometto. 354 mesi dopo la morte del Profeta si giunge alla data del 21 gennaio 661 d.C. (14 Ramadan 40mo anno), in straordinario accordo con quanto scrive F. Gabrieli:

          L'ultimo dei Califfi « ortodossi » cadde colpito a morte nel gennaio 661, nella moschea di Kufa, da un attentatore Kharigita,.. (F.Gabrielli, op.cit.,pag.70).

         A questo punto, ritornando ai versi di Dante, si comprende che tra i due interventi di 16 e 6 versi sia intercalata la risposta di 6 versi. Se il poeta non rispose, ma al suo posto risponde Virgilio, la ragione risiede, non tanto in un distaccato silenzio, ma nella organizzazione dei versi, dato che:

    To + 16,6+6,28 mesi = 15 ottobre 70 d.C. = Nascita di Virgilio.

        Abbiamo già mostrato che dalla struttura dei tre ordini del lato della porta sud del Battistero San Giovanni a Firenze si possono derivare gli intervalli temporali in mesi lunari per il plenilunio della nascita di Virgilio e per il plenilunio della morte del Profeta, oltre quelli per il Natale e per la Pasqua ebraica della passione di Gesù.

    Dalla porta sud del Battistero San Giovanni - Firenze
    17 tarsie verdi e 18 tarsie bianche in verticale
    16 tarsie verdi e 18 tarsie bianche per un ordine e
    18 tarsie verdi e 18 tarsie bianche per l'altro



         Una questione rimane aperta e riguarda il motivo per cui Dante scelse il riferimento a fra Dolcino e non ad altro personaggio. Come la comparsa di Virgilio è conseguenza della sequenza 16,6,6, indicante il numero dei versi di ciascun intervento, così l'aver scelto il riferimento a Fra Dolcino al v.55 è la conseguenza della medesima struttura. Sappiamo che egli si arrese nel marzo del 1307. I mesi dal primo plenilunio del primo anno d.C. fino al plenilunio del marzo 1307 sono 16155 che espressi nel sistema sessagesimale sono 4,29,15 oppure 5, -30, -45. Cinque sono i versi dopo l'occorrenza del nome dell'eretico e il primo discorso di Maometto inizia al verso 30 e termina al verso 45. Questa coincidenza è la ragione dell'occorrenza di Fra Dolcino al v. 55 al primo dei sei versi del secondo discorso di Maomento. La struttura del versi era già predeterminata, la coincidenza sovradetermina la struttura, rivelando una delle modalità della composizione poetica di Dante.
    Solo Fazio degli Uberti, a differenza di Dante, « vedrà poi un'affinità nelle dottrine dei due personaggi (Dittamondo,Libro V, canto XII,v. 25-27)» (Enrico Cerulli,op.cit., pag. 504 nota 1) per la poligamia concessa da una parte e la comunanza delle donne affermata dall'eretico.

        Il processo di composizione dei versi 30-62 segue pertanto i seguenti passi:

    • Assegnare due interventi di 16 e 6 versi al Profeta perchè con queste due cifre si possono scrivere (16+6),0 mesi 16 giorni e 6 ore, il tempo che intercorre dall'inizio dell'èra cristiana dei Pesci al 1,1,1 d.C. ore 0 del calendario giuliano
    • Essendo 34; 12, 17 giorni di lampo = 18,36,54 mesi per il tempo della morte del Profeta
    • E poichè 34-6 = 12+16 = 28, il numero del canto è XXVIII
    • 6,-6 = 354 mesi dopo la morte del Profeta, uccisione di Alì e secessione
    • Poichè da questa struttura segue la possibilità di scrivere 16,12,28 mesi che segna la nascita di Virgilio, interviene il poeta latino e non Dante
    • Poichè 5,-30,-45 mesi dal primo plenilunio dell'èra cristiana segna il tempo della resa di Fra Dolcino, il secondo discorso del Profeta fa riferimento alla sua vicenda e il suo nome deve occorrere al verso 55, cioè al primo dei sei versi.
    • Poichè 18,36,54 mesi - 1,54 mesi = 18,35,0 mesi = 669*100 e To + 669*100 mesi = 15 Ramadan 1 è necessario che
    • I numeri dei versi si ottengono dal numero del canto aggiunti al numero 114 delle Sure

        È possibile ora, mettendosi dal punto di vista del lettore, che sia avvertito della particolare tecnica di composizione e del calcolo del tempo, tracciare i passi per la lettura dei versi. Innanzi tutto il lettore d'oggi deve tener distinta la conoscenza medioevale della storia delll'Islam, quale la ricerca storica e filologica ha configurato sulla base dei documenti accertati e studiati, dalla lettura che gli stessi medioevali, lo stesso Dante, avrebbero fatto dei medesimi documenti e dalle conoscenze attuali. In altri termini i medioevali colti trovavano nei testi ciò che oggi non riusciamo più a vedere. Questa frattura dipende proprio da quella rottura epistemoligica per la diversità dei paradimi culturali che uno storico della cultura e un filologo deve tener presente per leggere e comprendere i documenti arcaici e antichi.
        Dato pertanto:

    • CANTO XXVIII di 142 versi
    • i versi 30-62 comprendono tre nomi, Maometto, Alì, Fra Dolcino
    • due interlocutori: Maometto e Virgilio
    • Tre sezioni di 16,6,6 versi
    • L'occorrenza di scandalo e scisma al verso 35 e quella di fra Dolcino al verso 55 e due occorrenze del nome 'Maometto' al verso 31 e 62.

                Poichè si giunge in uno dei tre regni d'oltretomba alla morte, la prima domanda concernerà il tempo della morte di Maometto e di Alì, rispetto al tempo di origine, To.

          Dopo le opportune ricerche sui due personaggi e, sapendo che veniva raccontato di un viaggio del primo nel cielo in groppa a buraq che significa lampo, era necessario ricercare la sequenza numerica che sulla base della relazione, in 31000 anni la differenza dell'anno sidereo e dell'anno giuliano ammonta a 195.7 giorni, esprimesse il tempo della morte di Maometto. Poichè la grandezza temporale di un' unità comprende il lasso di tempo di oltre 158 anni (31000/195.7) era sufficiente sapere approssimativamente il secolo dell'attività del fondatore dell'Islam e la consimile sequenza per il tempo del natale di Gesù: 30;11,12,19,..per venire a sapere che il primo termine sarebbe stato 34.
          Riconosciuto che 34 si risolve in 28 + 6, cioè nel numero del canto e in quello di una sezione, il secondo termine, in sessantesimi dell'unità, poteva essere in modo analogo e simmetrico 28-16 = 12 = 6+6. In questo modo il lettore avrebbe trovato un tempo che poteva approssimarsi da 16 a 944 giorni. Il terzo termine, sulla base delle due occorrenze del nome, diviene 31/62*34 = 17.
           A questa conclusione il lettore sarebbe giunto sapendo che la morte avvenne al plenilunio, che il mese secondo il calendario arabo era quello di Rabi I, che il Profeta aveva sessant'anni, informazioni che si trovano in un testo di Goffredo da Viterbo, cronista di Federico Barbarossa, pubblicato per la prima volta da E. Cerulli (op.cit.,p.424):

            Socii itaque eius defuncto eo in die lune servaverunt corpus usque ad XII dies. [...], in mense illo qui apud Arabes dicitur rabael anguil anno LX sue nativitatis ..

             I suoi compagni essendo egli defunto nel giorno della luna [plenilunio] conservarono il corpo fino al dodicesimo giorno. [...] in quel mese che presso gli Arabi viene chiamato «rabael anguil» [Rabi I] nell'anno sessantesimo della sua natività...


          Trovata questa sequenza era necessario convertirla in una data secondo il calendario giuliano sulla base di queste due informazioni: la stella dei Pesci si trovò sul meridiano d'origine dell'eclittica (l° = 0°) dopo 57883.5 mesi dal To e il primo gennaio 1 d.C alle ore 00 si trovò a 16+6,0; mesi 16 giorni 6 ore da quell'inizio dell'èra dei Pesci

    • 1)  Per il tempo della morte di Maometto
    • 2)   34;12,17 g = 18,36,54 m = Pesci + 2,32,10;30 m = 8 giugno 632 d.C. plenilunio
    • 3)   Per il tempo della morte di Alì
    • 4)   18,36,54 + 6,-6 = 18,42,48 m = Pesci 2,38,4;30 m = 21 gennaio 661 d.C. plenilunio
    • 5)   Per il tempo della resa di fra Dolcino, implicita nei versi 55-60
    • 6)   Primo plenilunio èra cristiana + 5,-30,-45 m = 20 marzo 1307 plenilunio
    • 7)   Per il tempo di Virgilio To + 16,12,28 mesi = 15 ottobre 70 a.C. nascita di Virgilio plenilunio
    • 8)   Per l'episodio che ha dato origine allo « scandalo e scisma » del verso 35 con resto versi 10 o 11
    • 9)   18,35,11 m = Pesci + 2,30,27;30 m = 10 febbraio 624 d.C. (nel mese precedente ci fu l'episodio di Nakhla) plenilunio
    • 10)   Sottraendo al numero dei versi il numero del canto il lettore avrebbe trovato 114 coincidente con il numero delle Sure. Riconosciuta questa coincidenza avrebbe calcolato
    • 11)  18,36,54 - 1,-54 = 18,35,0 = 669*100 = 23 marzo 623, corrispondente nel calendario arabo al plenilunio del mese di Ramadan.
    • 12)   Sapendo che il mese della rivelazione era avvenuto nel mese di Ramadan il lettore avrebbe cercato di individuare il plenilunio di quel mese, sapendo che il calendario era quello lunare
    • 13)   18,35,0 - [62/31,6+6] = 18,32,48 = 18 luglio 612 d.C plenilunio mese della rivelazione
    • In questo modo avrebbe avuto un punto di partenza per ripercorrere la storia dei Profeti, da Mosè a Isaia e all'annuncio dell'arcangelo a Maria, conformemente a quello che oggi gli studiosi dell'Islam designano come concezione ciclica della profezia .

         Lo schema temporale alla base dei versi esaminati potrebbe essere raffigurato in questo modo:

         In questo schema si può vedere come Dante abbia non solo conosciuto, direttamente o indirettamente non è possibile sapere, testi e fonti che non rientrano in quelli censiti dagli storici e filologi, ma anche di aver data un'interpretazione non solo ecclesiastico-dottrinale della figura di Maometto e dell'Islam. Infatti per quello studio di mettere insieme "numero e rime" (Convivio) ha indicato a chi sapeva leggere la sua arte i momenti significativi e fondanti l'Islam: Il mese della rivelazione (da cui sorsero i racconti del viaggio) con un indiretto e implicito confronto temporale con la rivelazione data a Mosè sul Sinai, il monoteismo sorretto sulla punta della spada esemplificato nell'episodio dell'attacco a Nakhla con posteriore giustificazione,il tempo della morte del Profeta sulla cui base sono state strutturate in seguito le testimonianze raccolte nelle 114 Sure del Corano e l'inizio delle conquiste arabe nel 634 d.C. e l'uccisione di Alì 354 mesi dopo il plenilunio della morte di Maometto al plenilunio del mese di gennaio del 661 d.C.

        Dopo la risposta di Virgilio v'è una terzina molto interessante con l'occorrenza del numerale « cento » al verso 52:

        

      52    Piú fuor di cento che, quando l'udiro,
          s'arrestaron nel fosso a riguardarmi
          per meraviglia, oblïando il martiro.

        Secondo il modello interpretativo fin qui seguito non è possibile passare sotto silenzio il numerale cento del verso 52, come se esso non fosse espressamente segnalato per una determinata sequenza temporale relativa ad un significativo evento della storia dell'Islam. L'occorrenza di fosso al verso successivo può alludere alla guerra del fossato, più sopra ricordata. La coalizione meccana partì verso la fine di marzo 627 d.C. e in una settimana raggiunse Medina, che in sei giorni fu protetta da un fossato ( Cfr. MARTIN LINGS, IL PROFETA MUHAMMAD, La sua vita secondo le fonti più antiche, Il leone verde, Torino 2004, p.225).

         Dato Canto XXVIII,52 con occorrenza cento si può scrivere:     

          DT = (100-52 +28);16+6,100, 6-16 giorni di fulmine = 66950.5 mesi
          To + 66950.5 = 21 aprile 627 d.C.

          Pertanto si può ragionevolmente affermare che con i vv.52-53 Dante alluda all'episodio della trincea e abbia letto qualche fonte che fin'ora è sfuggita agli studiosi.

         Chi non sa nulla dell'arte della composizione antica o, se la intuisce, non conosce il sistema di calcolo del tempo, dalla lettura dei versi non potrà che perdersi in una serie di coincidenze senza costrutto.
    Se siamo riusciti ad evitare questo errore, si può essere certi che Dante abbia avuto una conoscenza della storia dell'Islam ben superiore a quella dei suoi contemporanei e a quanto le prove tratte dai codici fin'ora conosciuti permettano di mostrare.
         La struttura numerica dei versi 30-62 del canto XXVIII di 142 vv. fornisce un'evidenza pari se non superiore all'occorrenza dell'espressione « e con le man s'aperse il petto: v.29 », giustamente rilevata e valorizzata da Elalami Abdelkrim e ha poi aperto la strada per un'ipotesi di una particolare lettura di alcune Sure del Corano, conformemente alla tecnica dantesca di comporre versi, consistente nel «legar (..) con numero e rime [il testo in lingua volgare]. E questo (...) studio è stato mio..» (Convivio,I,XIII,6-7). La tecnica del poeta non è completamente una sua invenzione; essa si ritrova anche in poeti di culture diverse. Una variante della stessa tecnica si trova, ad esempio,nelle Quartine di Omar Khayyâm, una composizione letteraria per la quale sono in rima i versi 1,2,4, mentre il terzo verso ha un argomento diverso dal termine in rima:

          Mai l'intelletto mio si distaccò dalla scienza,
          Pochi segreti ci sono che ancor non mi son disvelati,
          E notte e giorno ho pensato per lunghi settantadue anni,
          E l'unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo.
              (Quartina 93, trad. A. Bausani, Einaudi, pag. 35).

        Collegando la sequenza geometrica 1,2,4 dei versi in rima con i settantadue anni del terzo verso si ha in mano il principio di quel calcolo del tempo alla base della tecnica arcaica di composizione dei versi. Infatti nel tempo in cui il polo celeste compie un arco di precessione di 1° 2' avvengono 4 rivoluzioni dei nodi lunari. Per compiere un arco di 1° sono necessari settantadue anni.

         La Quartina di Omar Khayyâm è solo un piccolo esempio di un'arte, analoga a quella delle miniature di Nezâmî dedicate all' Ascensione , nei I Cinque Poemi , nella quale arte eccelse in modo sommo Dante, volendo egli scandire in questo modo, legando storia e cosmo, i momenti significativi della storia dell'uomo. Il suo "poema sacro" risulta pertanto la risposta letteraria cristiana al significato storico-culturale dei racconti e delle esperienze mistiche in ambito islamico, nel momento stesso che esprimeva la speranza di un rinnovamento del Papato ad opera dell'Impero, dovendo ritornare il primo proprio a Nazarette/là dove Gabriello aperse l'ali (Par.IX,138).