Da un saggio di
Giovanni Ferrero
Fr.1-32 Il proemio :il testo e la sua struttura tematica
Fr.1, 1-3 : l’azione delle cavalle e la funzione conoscitiva del passaggio di un astro al meridiano
Cavalle, quelle che mi portano fin dove giunge lo slancio dell'animo,
áppoi taÛ me f¡rousin, ÷son t' ¤pÜ yumòw ßk‹noi,
arce sed in coeli, qua summa acclivia finem
Sempre Manilio ci dice anche chi sia Eros:
Il riferimento al dio Eros del Fr.13, trovandosi ? Tauri con una longitudine di pochi gradi superiore a quella
del Sole e quindi ancora nel mezzocielo orientale ci fa comprendere in che senso venga detto che la Demone che tutto
governa del Fr.12 determinò primo fra tutti gli dèi Eros del Fr. 13.
Fr.1, 4-11 L’osservazione delle fasi lunari e di eclissi lunari al tramonto, al sorgere e passaggio al
meridiano della luna
Per quella via mi slanciavo; per di là infatti mi portavano le molto palesanti cavalle
t°i ferñmhn: t°i g‹r me polæfrastoi f¡ron áppoi
Fr.1, 12- 14 Descrizione del sistema dell’orizzonte e del meridiano e riferimento al coluro dei solstizi
E le delimita da una parte e dall'altra un architrave con un limitare di pietra;
kaÛ sfaw êp¡ryuron ŽmfÜw ¦xei kaÜ l‹inow oédñw:
L’architrave è l’arco nord e sud dell’azimut dei punti dell’amplitudine ortiva ed occasa del Sole quando ha la massima
declinazione nord e sud. Il limitare di pietra è la linea che congiunge i due punti corrispondenti dell’orizzonte.
Fr.1, 15-21: Coincidenza dei nodi lunari con il punto vernale ed descrizione del moto di declinazione
lunare al meridiano e osservazione della luna all’opposizione per determinare la posizione del Sole
rispetto alle stelle
Quella le seducenti fanciulle con soavi rapporti
t¯n d¯ parf‹menai koèrai malakoÝsi lñgoisin.
Fr.1, 22-28 Le parole di saluto della Dèa a Parmenide
kaÛ me yeŒ prñfrvn êped¡jato, xeÝra d¢ xeirÛ
Genova 9,02,2000
Inoltre, senza una continua interrogazione sui sistemi di comunicazione presenti nelle culture pre-letterarie e in quelle
del passaggio dalla oralità alla scrittura, proprio del tempo di Parmenide, risulta quasi vano ogni tentativo di
interpretazione e di traduzione del testo nel nostro linguaggio e non solo nella nostra lingua.
Con questa affermazione non intendiamo avvalorare la tesi heideggeriana sul linguaggio, suggestiva per un
verso, per un altro irta di pericoli per quella noncuranza del pensiero discorsivo in senso proprio. Tuttavia seguendo tale
tesi non si ha alcun accesso al testo di Parmenide, come si può trarre dalla lettura del suo corso universitario del 1942
ora recentemente pubblicato in traduzione italiana (1).
La lettura filosofica che il pensatore tedesco fa di alcuni versi del
proemio, per quanto seducente e geniale sia in vista di un meditare filosofico, sottratto però al confronto con il pensiero
dianoetico, platonicamente ripensato, non ha alcun rapporto con la lettera del testo, anzi è fuorviante per il pensiero,
perché induce a porre un originario pensare obliato da gran tempo. Inoltre presuppone che alla ricerca di tale originario,
sarebbe meglio dire alla sua divinazione, si possa accingersi mettendo tra parentesi tutta la storia del cristianesimo come
accidente storico irrilevante per il destino stesso dell’occidente. La ricerca dell’originario, contro e incurante di ogni
parola detta e scritta, appare oggi qualcosa di sinistro per l’anno in cui fu pronunciata.
Non stupisce quindi che venga proposto come nome per la dèa di Parmenide quello di aletheia, come se essa
non avesse per quella cultura un suo nome o più nomi e non fosse ben presente ai contemporanei.
Una dèa di nome
verità, ripensata sia pure secondo la lezione heideggeriana, ben difficilmente può mostrare una sua peculiare relazione a
ciò che è circolare, alla rotondità, dato che la dèa afferma che la prima cosa da apprendere è il cuore immobile della
verità ben rotonda (fr.1,29). Credere che si possa pensare assumendo come proprio metalinguaggio una lingua e una
parola, scaturita da una origine altra dalla propria, porta solo alla confusione e all’impossibilità di apprendere proprio
ciò che la dèa promette e Heidegger pare disprezzare come pensiero calcolante. Il cuore immobile della verità ben
rotonda (Fr.1,29) non è una possente metafora che si presta ad un ammantato e sibillino discorso nella regione
inattraversabile del vago e dell’indeterminato, ma, come mostreremo più avanti, è una designazione tecnica con nomi
propri nei diversi ambiti della nostra scienza.
Se la lettura filosofica di Heidegger risulta un pretesto per un proprio discorso, la lettura e le ricerche
filologiche e storiche, indispensabili entrambe per accedere al testo greco nella situazione culturale in cui fu redatto,
mancano tuttavia i loro compiti quando non mostrano l’ambito disciplinare del discorso. Il sapere delle parole non è
quello delle cose, e dalla traduzione delle parole non si passa alla conoscenza delle cose se già precedentemente non si
abbia in proprio analoga conoscenza delle cose medesime.
Tutto il poema di Parmenide appartiene secondo quanto mostreremo all’ambito della scienza e a quello
dell’epistemologia o, per meglio dire, all’ambito delle matematiche, che per Platone è propedeutico alla dialettica, e a
quello di una riflessione sui criteri di affermazione dell’essere, se si tralasciano i frammenti relativi all’ambito
biologico. Da questo punto di vista risulterà che Parmenide e il suo testo, rappresentano la cerniera che ci porta alla
scienza arcaica con la lettura e interpretazione del proemio e contemporaneamente con la lettura degli altri frammenti
alla scienza greca.
Poiché vi è una divisione accademica delle discipline e il pregiudizio tutto moderno che il sapere
scientifico sia solo quello galileiano o post-galileiano, non si pensa che sia decisiva per la lettura degli antichi la
conoscenza delle matematiche di allora, e sia, altresì decisivo sapere come essi calcolavano il tempo e come
comunicavano i risultati dei loro calcoli.
Il contesto culturale del proemio condiviso dai contemporanei di Parmenide rimanda sia ad Omero che ad
Esiodo, come per primo mostrò Diels, ed è magistralmente dominato da Parmenide, mentre le parole della dèa, dopo il
verso 28, costituiscono per i contemporanei l’innovazione scientifica propria della scuola eleatica.
Lo studio del proemio del 1979 ci aprì la strada per giungere passo dopo passo negli anni seguenti alla
ricostruzione tecnica del sapere arcaico, la cui origine deve situarsi attorno al VI millennio a.C., stando alle
testimonianze della pittura vascolare, se non addirittura prima, e ad intuire le regole di comunicazione di tale sapere.
Al termine di tale percorso che ha incluso anche lo studio della Vita Nuova di Dante, è possibile riprendere la lettura
del proemio e degli altri frammenti e mostrare, almeno come ipotesi fondata, quale fu la rivoluzione di Parmenide.
I risultati ancor oggi validi di quello studio (2), a cui il collega e amico Giorgio Imbraguglia dedicò una nota
(3) più ampia del testo, e che meritò una menzione nella bibliografia generale alla edizione di Parmenide, curata da
Giovanni Reale e Luigi Ruggiu (4) , sono i seguenti.
- L’inizio del poema (vv.1-3) fa implicitamente riferimento ad un’eclisse solare anulare avvenuta a Velia
- il 28 aprile del 509 a.C. alle ore 12 locali.
- Dopo tale evento Parmenide si mise ad osservare sistematicamente le relative posizioni del Sole (carro e
cavalle) e della luna (fanciulle).
- Descrisse il movimento in declinazione della luna in occasione della coincidenza del nodo ascendente
lunare con il punto vernale
Da allora abbiamo individuato il significato tecnico della via della demone e il nome della demone grazie ad una fonte
che si trova in Manilio. Il meridiano del luogo e lo zenit è la sede di una dèa il cui nome latino è Citerea o quello greco
Aphrodite pandemia o euploia, quella che dà la buona navigazione. Sempre in Manilio si è trovato il nome della stella
corrispondente ad Eros o Cupido, che sta sotto la fronte del Toro, cioè alfa Tauri.
Il testo parmenideo, suddiviso per temi, nella nostra traduzione è il seguente:
erano con me, dopo che mi spinsero sulla molto famosa via
della demone, che per ogni luogo abitato porta l'uomo che sa.
p¡mpon, ¤peÛ m' ¤w õdòn b°san polæfhmon gousai
daÛmonew, ¶ katŒ p‹nt' sth f¡rei eÞdñta fÇta:
L’azione violenta delle cavalle, che nel precedente studio individuammo nell’eclisse anulare del 509 a.C., porta
Parmenide ad osservare il passaggio del Sole al meridiano e a segnare i punti estremi di questo passaggio ai solstizi,
grazie al significato della via della demone. Le stelle che passano allo zenit hanno come loro declinazione, cioè la
distanza angolare dall’equatore, la latitudine del luogo. Per questa ragione sono di orientamento nel movimento lungo
la direzione nord - sud. Osservando lo zenit l’uomo che sa viene orientato per ogni luogo abitato. La descrizione
dell’eclisse anulare si trova nel Fr. 12, relativo alle corone di fuoco e alla Demone che tutto governa, lo zenit del luogo.
Il testo di Manilio che ci rivela chi sia la demone si trova nell’Astronomicon, II,918-921, :
inveniun, qua principium declivia sumunt
culminaque insurgunt occasus inter et ortus
/…
adsederit hanc Cyterea sibi per sidera sedem.
(curavit F. Serra, Pisa 1975).
e nella traduzione di Massimo Candelero : Alla sommità del cielo, là ove gli astri cessano di salire ed iniziano invece a
declinare, là ov’essi ad eguale distanza si trovano dal loro sorgere come dal loro tramontare, in quella regione che
pare tenere sospeso l’intero mondo in un perfetto equilibrio, là la dea Citerea ha fissato la propria sede, . (5).
Taurus simplicibus dotabit rura colonis
/ …./
habitaque puer sub fronte Cupido.
(Astronomicon, IV, 140 e 151).
che il carro trascinavano, mentre fanciulle precedevano sulla via.
L'asse nei mozzi mandava il suono di siringa,
ardente, - era infatti incalzato da due ben tornite
ruote da una parte e dall'altra - quando s'affrettavano ad accompagnare
solari fanciulle , avendo abbandonato la casa della notte,
verso l'oriente, dopo essersi strappate con le mani i veli dal capo,
dove ci sono le porte dei cammini della notte e del dì.
‘rma titaÛnousai, koèrai d' õdòn ²gemñneuon.
jvn d' ¤n xnoÛhisin áei særiggow Žut®n
aÞyñmenow (doioÝw gŒr ¤peÛgeto dinvtoÝsin
kækloiw Žmfot¡rvyen), ÷te sperxoÛato p¡mpein
„Hli‹dew koèrai, prolipoèsai dÅmata Nuktñw,
eÞw f‹ow, Ès‹menai kr‹tvn po xersÜ kalæptraw.
¦nya pælai Nuktñw te kaÜ …Hmatñw eÞsi keleæyvn,
Le porte dei cammini della notte e del dì sono tre: due sul piano dell’orizzonte e una sul meridiano segnata
dalla massima e minima altezza del Sole ai due solstizi. Abbandonare la casa della notte per la luna significa
tramontare, togliersi i veli dal capo ,uscire dall’ombra o dalla penombra; in direzione della luce, cioè in direzione
dell’oriente, significa che la luna ha già attraversato il meridiano.
ma le medesime viste nell'etere sono fornite di grandi battenti,
di cui Dike che molto punisce possiede i chiavistelli che si alternano.
aétaÜ d' aÞy¡riai pl°ntai meg‹loisi yur¡troiw:
tÇn d¢ DÛkh polæpoinow ¦xei klhÝdaw Žmoiboæw.
La Giustizia che molto punisce è il coluro dei solstizi della sfera celeste. In quei due giorni la distribuzione
della durata della luce e della notte è simmetrica ed è analoga ad un’opera di giustizia nel riequilibrare il torto. I
chiavistelli che si alternano sono i punti solstiziali sul medesimo cerchio oppure i punti del meridiano del luogo che
segnano l'altezza massima e minima del Sole.
all'istante persuasero di sfilare per loro
rapidamente la stanga dei chiavistelli dalla porta; dei battenti
un'ampia apertura fecero volteggiando, le bronzee
tavole girevoli avendo fatto ruotare in su e in giù,
fissate con chiodi e con fibbie;
qui dunque per le medesime (porte)
le fanciulle direttamente guidavano lungo la via carraia carro e cavalle.
peÝsan ¤pifrad¡vw, Ëw sfin balanvtòn ôx°a
Žpter¡vw Êseie pul¡vn po: taÜ d¢ yur¡trvn
x‹sm' Žxan¢w poÛhsan Žnapt‹menai polux‹lkouw
jonaw ¤n særigjin Žmoibadòn eÞlÛjasai
gñmfoiw kaÜ perñnhisin Žrhrñte: t°i =a di' aét¡vn
Þyçw ¦xon koèrai kat' Žmajitòn ‘rma kaÜ áppouw.
Il punto vernale , ossia il punto dell’equatore celeste attraversato dal Sole all’equinozio di primavera è
indicato da Y. Il nodo lunare è invece indicato da ? , intersezione del piano lunare con l’eclittica. Ogni 18,6
anni ? coincide con Y e la luna è soggetta alla massima variazione in declinazione durante la medesima
rivoluzione siderea di circa 27 giorni. I versi di Parmenide descrivono questo movimento della luna. La longitudine della
Luna ? è l’arco di eclittica che comincia da Y e termina in L. La distanza dal nodo, segnata da P è data
dall’arco L ?. La longitudine del nodo ? è dunque la differenza dell’arco LY rispetto all’arco L?. Quando
avviene la coincidenza del nodo ascendente lunare con il punto vernale la longitudine della Luna coincide con
P. Parmenide ha ricercato un plenilunio in cui questo fenomeno ciclico fosse avvenuto e lo ha indicato e
descritto.
E la dea benevola mi accolse, con la mano destra
la mia destra prese, e così rivolgendomi la parola disse:
O giovane, degno compagno di aurighe immortali,
che, con le cavalle che ti portano, giungi alla nostra casa,
salve! poiché non una Moira avversa ti ha mandato a percorrere per primo
questa via, - essa è infatti lontana da quella battuta dagli uomini -
ma Themis e Dike.
dejiter¯n §len, Ïde d' ¦pow f‹to kaÛ me proshæda:
Î koèr' Žyan‹toisi sun‹orow ²niñxoisin,
áppoiw taÛ se f¡rousin ßk‹nvn ²m¡teron dÇ,
xaÝr', ¤peÜ oëti se moÝra kak¯ proëpempe n¡esyai
t®nd' õdñn (· gŒr Žp' ŽnyrÅpvn ¤ktòw p‹tou ¤stÛn),
ŽllŒ y¡miw te dÛkh te.
Fr.1, 28-32 Il programma della scuola di Elea
E’ necessario dunque che tu tutto apprenda,
sia il cuore immobile della verità ben rotonda,
sia le opinioni dei mortali, nelle quali non c'è vera certezza;
ma anche questo apprenderai, come sia necessario che le cose che appaiono
sembrino essere tutte circolanti per l'universo.
xreÆ d¡ se p‹nta puy¡syai
±m¢n ƒAlhyeÛhw eékukl¡ow Žtrem¢w ·tor
±d¢ brotÇn dñjaw, taÝw oék ¦ni pÛstiw Žlhy®w.
Žll' ¦mphw kaÜ taèta may®seai, Éw tŒ dokoènta
xr°n dokÛmvw eänai diŒ pantòw p‹nta perÇnta.
Per la lettura e interpretazione di questi versi non è sufficiente l’aver indicato i temi astronomici presenti, ma è
necessario distinguere il piano cosmografico, quello uranografico del Sole luna e stelle e quello propriamente della
cosmocronologia, concernente il rapporto del tempo al cosmo, alla base del testo letterario; inoltre va considerata la
funzione delle stelle per segnare il tempo.
Nel precedente studio si erano visti unicamente alcuni aspetti: la scoperta delle eclissi e alcune strutture
cosmografiche. Non era stata rilevata qualcosa che Parmenide aveva voluto indicare con una chiarezza indubitabile
mediante una particolarità stilistica. Solo un nostro successivo lo studio sulla composizione letteraria di Dante ci ha
consentito di riconoscere quella particolarità stilistica tanto importante al fine di cogliere in modo completo
l’informazione consegnata alla struttura del testo parmenideo. Si tratta del sistema delle occorrenze poste a chiasmo. Ai
versi 1 e 25 il termine ‘cavalle’ inizia il verso, mentre ai versi 4 e 21 conclude il verso.
Con questa struttura che esprime sul piano stilistico una informazione che ha senso sul piano della
cosmocronologia, viene data una metacomunicazione di informazioni numeriche necessarie per calcolare quando
capitarono gli eventi osservati e descritti da Parmenide. L’avvenuta ricostruzione del sapere arcaico (5), che sottende la
cultura del filosofo, permette immediatamente di controllare mediante il calcolo la lettura. Non ci può essere lettura di
testi della cultura arcaica senza scrittura di numeri, grandezze e calcoli aritmetici. Parmenide non insegna quel sapere
arcaico, ma lo impiega per comunicare il tempo dell’osservazione e che cosa osservò. Non si può pensare di leggere
gli antichi senza essere in grado di vedere le medesime cose in relazione ad un nostro attuale sapere.
Il sapere arcaico presente nel proemio non è peculiare di Parmenide: esso è infatti condiviso da tutti gli autori.
Mediante tale sapere egli comunica l’insieme delle osservazioni o il quadro degli eventi sulla cui base propone la
propria dottrina in alternativa a quella dei mortali. Che sia la dèa ad insegnare e non Parmenide stesso, o meglio che la
propria dottrina sia una rivelazione ricevuta da una dèa non deve essere banalizzato come un espediente retorico e
politico di chi ebbe responsabilità di governo della città; al contrario esprime, come mostreremo, una relazione indiretta
della dèa al cuore saldo della verità ben rotonda.
Ciò che qui si intende mostrare è come Parmenide, partendo da un quadro sinottico di conoscenze e
informazioni , esprimibili in sequenze numeriche di grandezze relative al Sole alla luna e alle stelle e ai diversi tempi,
abbia consegnato tali sequenze nella struttura stessa delle occorrenze dei termini in un testo lungo 32 versi. La lettura e
interpretazione deve giungere perciò a ricostruire quel quadro sinottico. La particolarità stilistica segnala come si debba
procedere nella lettura e nel calcolo di controllo.
Le strutture ad anello e a chiasmo, rilevate da molti studiosi del proemio parmenideo, infatti, non hanno valore
solo in relazione allo stile letterario, ma anche, e soprattutto, in rapporto alla comunicazione del sapere arcaico. Esse,
infatti , ci comunicano un insieme di informazioni mediante la struttura formale del sapere cui tali informazioni
appartengono. Esse sono regole di composizione per comunicare un sapere. Il testo arcaico mentre racconta qualcosa
dispone sapientemente, come in questo caso, i segnali da cogliere per trasformarli in sequenze numeriche che sono
rilevanti per chi conosca già la struttura formale di quel sapere arcaico. Non insegna dunque il sapere arcaico, ma lo
impiega per comunicare informazioni su ciò che sta raccontando.
Si tratta pertanto di interrogare il testo a partire dalla
conoscenza della struttura del sapere arcaico. Avendo già ricostruito tale sapere sulla base dell’esame della ceramica e
di alcuni testi omerici e pitagorici è possibile ora interrogare il proemio a partire da esso (6).
La struttura formale è
molto semplice, perché si tratta di individuare i dati per queste relazioni simboliche, che legano l’ntervallo temporale, la
longitudine del sole, quello del nodo lunare e la longitudine di una o più stelle: