Su questo punto non ci sentiamo di seguire Mc Luhan. Infatti la scrittura alfabetica fonetica ha contribuito a formare gli astratti nella lingua greca e a vederne le relazioni. Solo dopo fu possibile connettere una proposizione ad un'altra in base al principio di antecendenza e conseguenza logica. La successione lineare delle lettere dell'alfabeto non ha nulla a che fare con la organizzazione del sapere secondo una struttura assiomatica, che i Greci scoprirono riflettendo sui loro procedimenti.
Il periodo di formazione del pensiero scientifico greco copre due secoli dal V al IV secolo a. C.
Sulla base dei risultati delle nostre ricerche su questi due secoli possiamo delineare in modo
conciso la differenza tra sapere tradizionale e sapere scientifico, quale si venne a costituire in
questi due secoli. Generalmente si presenta il V secolo come quello del passaggio dal Mito al
Logos. Più propriamente si dovrebbe dire che è il passaggio dalla cultura orale tradizionale alla
cultura scritta, conseguenza dell'introduzione dell'alfabeto fonetico greco alla fine dell'VIII
secolo. Verso la metà del V secolo divenne ben chiaro che v'era un ambito di ricerche che poteva
essere deciso semplicemente dall'analisi del linguaggio. Ad esempio la classica questione della
commensurabilità o meno del lato e della diagonale di un quadrato. La scoperta del procedimento
di dimostrazione per assurdo applicato a tale questione e il tentativo di estenderlo anche in altri
campi aprì la strada a ricerche di logica e di matematica, sia in ambito aritmetico che geometrico,
inducendo quella ricerca di fondazione del sapere in ambito del pensiero filosofico, come si trova
sia in Platone che in Aristotele.
L'esempio che faremo illustra meglio di qualsiasi altro le tappe di questa scoperta. I Pitagorici
erano usi a disegnare delle figure geometriche con dei sassolini, cioè con dei numeri. Così
disegnavano dei triangoli e ne veniva fuori la serie del numeri triangolari: 1,3,6,10,15 così via.
Non era difficile dalla figura vedere che due numeri triangolari successivi formavano un numero
quadrato.
Allo stesso modo disegnavano i numeri quadrati: 1,4,9,16….
Aggiungendo all'unità via via i numeri dispari si ottiene sempre una figura quadrata, sicchè i
numeri quadrati sono sempre la somma cumulativa dei numeri dispari.
Ora procedendo in questo modo era intuitivo che nella successione dei numeri quadrati non si
poteva riscontrare un numero quadrato che fosse doppio di un altro numero quadrato, giacché
questa figura apparteneva a quella dei rettangoli. Tuttavia con la geometria, con il teorema di
Pitagora, veniva dimostrato che l'area costruita sulla diagonale del quadrato misurava il doppio
dell'area costruita sul lato, cioè in geometria valeva ciò che non valeva in aritmetica, e quindi le
due discipline erano costituite da principi propri e i Greci privilegiarono la via geometrica perché
porgeva i risultati secondo un ordine logico di dimostrazione, mentre le ricerche numeriche
facevano ricorso all'intuizione e, ad un inespresso principio di induzione matematica: se nella
costruzione della successione delle figure, lo schema non muta, allora siamo in presenza di una
legge di composizione. Se all'unità sommiamo cumulativamente i numeri pari otterremo:
1,3,7,13,22,…, se invece sommiamo i numeri dispari otterremo 1,4,9,16, e lo schema della figura
non muta e quindi si può dire che si ottiene sempre un numero quadrato. Benché tutto ciò ci
appare elementare, tuttavia aprì ai Greci la strada per la assiomatizzazione della Geometria e
l'opera di Euclide non ha come titolo Geometria, ma Elementi: come le lettere dell'alfabeto che
venivano chiamate Elementi, Stoicheia, hanno un loro ordine di successione e con esse si
formano le parole, così il sapere matematico viene esposto secondo l'ordine logico partendo da
principi, postulati, nozioni comuni e definizioni per giungere alla dimostrazione del teorema. Dal
punto di vista della comunicazione una tale esposizione richiede solo la conoscenza della lingua
in cui è scritta e uno studio individuale della medesima e la presenza di un maestro non
è strettamente necessaria; meglio, il maestro in questo campo orienta semplicemente l'attenzione
del discepolo, che da sé apprende. La matematica in questo senso è semplicemente ciò che si è da sé appreso, dal verbo greco che significa apprendere. Socrate con il metodo della interrogazione
orientava l'attenzione dell'interlocutore a trovare la risposta alla questione posta o a vedere la
contraddizione con ciò che si era ammesso in comune e il suo metodo presuppone non solo
l'abitudine alla retorica e alla argomentazione nelle assemblee ma anche l'esperienza dei nuovi
linguaggi e dei nuovi saperi che cominciavano ad essere diffusi. In modo radicalmente diverso si
pone il rapporto con i saperi tradizionali, che possono essere quelli tecnici dell'artigiano, oppure il
racconto della tradizione socialmente condiviso. L'individuo in questo caso dipende totalmente
dal maestro o dalla società e su molte questioni non ha possibilità di controllo e di verifica.
Per illustrare questo aspetto ritorniamo ai Pitagorici. Essi sostenevano che nei primi quattro
numeri era racchiuso in modo esemplare il sapere del tutto nel campo dell'aritmetica, in quello
della musica e in quello dell'astronomia. Nel campo della teoria musicale, con i primi quattro
numeri si possono formare gli intervalli di terza quarta e ottava, nel campo della teoria dei
numeri,Aritmetica, la successione aritmetica, 1,2,3, quella geometrica, 1,2,4, quella armonica e così via.
Questo modo di procedere è stato disprezzato dagli storici, e Galileo ha avuto ragione nel
sostenere che i Pitagorici esponevano in questo modo per allontanare i curiosi. Poiché
esplicitamente viene affermato un legame dei primi quattro numeri con la fonte e l'origine della
natura che sempre diviene, abbiamo pensato che fosse indicato un legame tra una particolare
espressione temporale e una di quelle progressioni. Se noi volessimo esprimere per esempio un
determinato numero di cicli che concernono la luna in funzione di un altro ciclo, troveremo che
nel tempo in cui il polo celeste compie un arco di 1° 2' la luna ha compiuto ben 4 rivoluzioni dei
nodi. Non è qui il caso di spiegare e dimostrare questa legge i cui termini numerici sono in
progressione geometrica. Ciò che importa al nostro discorso concerne il fatto che
nell'antichità non v'era assolutamente possibilità per nessuno di giungere per proprio conto a tale
scoperta né tanto meno quella di poterla verificare. Se non c'era un maestro che decideva di
comunicarla in modo orale, il discepolo non poteva venirne a capo. Questo comporta ammettere
che v'era un sapere tradizionale con una sua struttura di calcoli elementari e non una favola a cui
si alludeva pubblicamente in modo enigmatico, la cui chiave però veniva data oralmente sono
all'interno di una scuola. La distinzione è dunque tra ciò che è fuori (essoterico) e ciò che è dentro
(esoterico). La scienza, o meglio la conoscenza veniva comunicata come afferma Giamblico solo
a coloro che avevano dimostrato d'essere degni di vivere insieme. Anche se quel sapere,
avendone ricostruita completamente la struttura, si rivela preciso ed esatto e non richiede lo sforzo individuale di apprendere i sistemi
astronomici succeduti fino a Newton, quel sapere non ha però lo statuto di scienza, di
conoscenza scientifica, cioè di essere sapere pubblico e a certe condizioni controllabile
dall'individuo. In che modo è dunque possibile comunicare quel sapere? Mediante racconti e
composizioni letterarie o mediante composizioni iconiche. Per il caso preciso che abbiamo
appena accennato, cioè dell'occorrenza della progressione geometrica 1,2,4, non si può non
ricordare le caratteristiche mostruose di Scilla nell'Odissea, (12 piedi, 6 colli, tre file di denti)
oppure se vogliamo orientare l'attenzione di un lettore sull'importanza della successione 1,2,4
all'interno dei primi quattro numeri possiamo comporre quartine i cui versi in rima sono
precisamente il primo, il secondo e il quarto. Secondo A. Bausani questo tipo di rima definisce la quartina detta triangolare nella letteratura persiana: è la quartina per
eccellenza, dove i primi due versi introducono il tema, il terzo (che non rima con gli altri) un
concetto diverso, mentre il quarto risale al primo. Il più grande artista persiano che si è espresso
in questa forma lirica fu Omar Khayyan (1048-1131). Questo pensatore è assunto da Seyyed Hossein Nasr (Scienza e civiltà nell'Islam, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 29-32) come il
tipo di saggio che esemplifica la struttura a vari livelli gerarchicamente ordinati della cultura
all'interno dell'Islam. E il raffinato letterato era anche un eccellente matematico sulla teoria delle
equazioni, un astronomo che cooperò alla riforma di un calendario, più preciso di quello
gregoriano, e in un'opera metafisica descrive se stesso come un pitagorico ortodosso e come un
sufi. Questa dichiarazione, indipendentemente dalla lettura delle quartine, avvalora come fondato
il riferimento di ciò che abbiamo trovato in quell'aspetto della dottrina pitagorica e la struttura
letteraria delle quartine. Anche il riferimento ai sufi è chiarificatore. E i sufi, così chiamati per la
loro tunica di lana bianca, in una presentazione data dallo stesso Omar Khayyan, "non ricercano
la conoscenza attraverso la meditazione o il pensiero discorsivo, bensì attraverso la purificazione
del loro essere interiore e delle loro disposizioni. (…) E' questo il modo migliore di tutti, perché n
essuna delle perfezioni di Dio vi rimane assente e perché la sua visione non è impedita da ostacoli
o da veli."
Una delle sue quartine nella traduzione di Bausani avvalora la nostra ipotesi sul significato della rima triangolare del letterato persiano:
Mai l'intelletto mio si distaccò dalla scienza
Pochi segreti ci sono che ancor non mi son disvelati
E notte e giorno ho pensato per lunghi settantadue anni
E l'unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo.
L'occorrenza di settantadue anni proprio al terzo verso che non rima e non ha alcun esplicito rapporto tematico con gli altri versi, concernenti la scienza, indica, se si interroga sul rapporto delle rime ai versi 1,2,4 e quel settantadue, la chiave per comprendere la successione. Settantadue anni è il tempo in cui il polo celeste compie un arco di 1° attorno al polo dell'eclittica, sicché 1° 2' equivalgono a 74.4 anni, che divisi per 4 danno il ciclo dei nodi lunari: 18.6 anni.
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